CHI BEN COMINCIA …

Ore 07.40 esco di corsa, un bambino per mano. Sulla via di scuola, incontro “la MaestraP”. Sorrido mi sbraccio e saluto con entusiasmo. Riprendo con veemenza i bambini: “si salutano le persone che si conoscono, soprattutto le maestre”.

E2015: hai ragione, ma quella non è la MaestraP, non la conosciamo e non sappiamo nemmeno se sia un maestra.

Ore 09.30 sulla chat di classe compare una mamma nuova, mi presento con euforia indicando che sono la mamma di E2015. Peccato che la chat fosse di L2013.

Sono le 10.00 e non so più cosa aspettarmi.

Adolescenza e amore

Siamo entrati in adolescenza e cominciano le prime occhiate fugaci nel mondo dell’amore.

I primi sogni ad occhi aperti e, soprattutto, i primi film romantici.

Onde evitare che crescano con aspettative troppo alte, che puntualmente verranno infrante dalla dura realtà, mi sento di elencare qui un paio di consigli sparsi:

I baci appena svegli sono falsi. Nessuno si bacia appena sveglio.

Le corse sotto la pioggia non vengono fatte per inseguire l’amor fuggente, ma solo per saltare sul tram verso casa.

Se ha un armadio di cinquanta metri lineari, passa più tempo di te davanti allo specchio: lascia perdere.

Nessuno porta i fiori al primo appuntamento, ma pretendi che ti venga pagato almeno il caffè.

Nessuno sconosciuto, si fermerà ad aiutarti a traslocare una montagna di cartoni dal tuo catorcio nella tua nuova casa, ma se ti tiene aperta la porta, o ti cede il posto/ il passo, facci caso: è già un buon segno!

Non esiste l’amore che ti toglie il fiato e ti fa venire i brividi, quello è eccitazione e si chiama sesso. Non dura tutta la vita, ma se ti capita dagli il peso che merita e accettalo di buon grado.

L’uomo perfetto quello che vedi in ogni film non esiste. Ma puoi trovare l’uomo perfetto per te, quello che riuscirà a farti diventare una persona migliore. Ecco, in quel caso tienitelo stretto.

RIchard Gere in “Pretty woman” – icona del romanticismo anni ’90.

UN BICCHIERE DI BENVENUTO

Interno mattina. ore 07.30

Infilo la testa nelle stanze per cercare eventuali zaini, cartelline, felpe.. tutto ciò che può essere lasciato indietro. La stanza di E2015 è il set cinematografico di un film catastrofico: vestiti sparsi, letto che sembra la cuccia di un cane (cit. Nonnina), libri e quaderni in giro.

Sulla porta di casa lo apostrofo con malgarbo: Ma esci con la stanza così?

E2015: riordino dopo

WM: guarda che oggi viene a trovarti S.

E2015: lo faccio a pranzo

WM: ho capito, ma S. pranza con noi! Quando pensi di mettere a posto?
E2015 mi guarda spaesato, poi si illumina: quando arriviamo a casa, tu gli offri un aperitivo e lo intrattieni, mentre io metto a posto la stanza. OK?

Mi guarda con la sua miglior faccia da paraculo. Non riesco a non ridere.

più o meno si presentava così – credit Riza

settembre – tempo di dormire

Ore 6.30 di un uggioso mattino padano.

Comincia la giostra del risveglio ed oggi è ancor più dura del solito.

Prima io, poi LPBDM, poi ci dividiamo i ragazzi.

Arrivo da L2013 e la trovo avvolta nelle coperte come un burrito.

WM: L2013, apri pian piano gli occhi che è ora.

Le accarezzo i capelli e sento un mugugno.

WM: coraggio, è ora. Devi alzarti.

Sento un bisbiglio.

L2013: Vieni, vieni qui sotto le coperte e poi dimmi se ti vuoi alzare!

immagine tratta da web

Nè sCENDERE, Nè SALIRE

Non so se finora si era capito, ma io amo la montagna e adoro camminare. Ogni anno trascino i ragazzi e LPBDM per sentieri e rifugi sia in estate, sia in inverno.

Grazie ad un paio di persone speciali e a questa grande passione che ci accumuna, ho fatto della sezione CAI del paesello la mia seconda casa. Una parola tira l’altra e mi hanno arruolata nel gruppo (ASAG, accompagnatori Alpinismo Giovanile). Così, per me che fino a ieri organizzavo le passeggiate in base al menù del rifugio, si sono aperti nuovi orizzonti. Quasi tutti verticali.

Il primo banco di prova è stata l’arrampicata, dove grazie alla mia poca forza fisica e la ancor minor agilità ho dato quasi subito forfait, applicandomi unicamente come “Sicurezza” per i giovani scalatori – praticamente contrappeso in caso di caduta/scivolone in parete. Cosa in cui modestamente riesco assai benone.

Dopo un paio di uscite di arrampicata e altre classiche escursioni con nozioni su flora, fauna e ambiente montano (non banali, ma essendo didattiche mi muovevo su terreno conosciuto), è arrivata la volta della ferrata. Temuta, perchè l’idea del vuoto sotto di me, seppur ancorata alla roccia e assicurata con mille moschettoni, non mi rassicura affatto, ma anche agognata, poiché “via il dente via il dolore” e sapevo che prima o poi mi sarebbe toccata.

Finalmente, domenica siamo partiti con i ragazzi del Giovanile per una lezione di avvicinamento alla ferrata. Era la mia occasione! Un percorso facile facile, che ho svolto anche con dignità, fino agli ultimi cinquanta metri, dove un bel traverso a sbalzo ci avrebbe guidato ad una scaletta a strapiombo sulla Dora e da lì attraverso una seconda scaletta saremmo arrivati dritti fino all’arrivo.

I miei ragazzi sono stati molto bravi, su mia esplicita richiesta, non hanno fatto commenti sul vuoto, sul fiume, sul “sotto”, né sulla vista (per me mozzafiato nel senso stretto del termine).

Hanno mantenuto il loro aplomb britannico, quando in vetta sono stramazzata senza fiato sulla spianata esclamando con l’ultimo fiato “Cazzo!”. E non hanno nemmeno fatto la spia, dato che le parolacce sono assolutamente vietate.

Ma soprattutto non hanno battuto ciglio, quando all’attacco della seconda scaletta mi son pietrificata, non riuscendo più a muovere un muscolo.

In quel momento da sotto è arrivata una vocina: “Muovi il piede destro”.

Ora, per chi non lo sapesse: “Muovi il piede destro” è il trucco che usiamo noi in arrampicata per togliere i bambini dall’impasse. Quando si bloccano, poiché confusi, basta dire “Muovi il piede destro”, facendolo trovano un appiglio e ripartono in scioltezza.

Con questa frase detta dei ragazzi nel modo giusto e nel momento giusto, mi sono resa conto che in questi mesi abbiamo insegnato loro tante cose, non in ultimo ad esserci per i compagni, a capire il momento di crisi e superarlo e insieme.

Io per l’ennesima volta ho imparato da loro: a fidarmi in montagna del mio secondo e anche un po’ più di me.

Ciò non toglie che prima del rientro mi venisse affibbiato il soprannome di Nonna Papera e che il mio team durante la discesa ogni tanto sghignazzasse ” Né scendere, né salire. Né scendere, né salire“.

Mal di pancia programmato

Lunedì mattina. Uscita di scuola, solito parapiglia. Vedo E2015 che confabula con un bambino che non conosco. Lo raggiungo e chiedo cosa avessero da parlottare fitto fitto.

“Non qui”, mi raggela in un istante.

Arrivati a casa, torno all’attacco: “Quindi, di cosa parlavate?”

E2015: “Mi ha invitato alla sua festa di compleanno”.

WM: “Bello, quando è?”
E2015: “Io non ci voglio andare. Troviamo una scusa, diciamo che ho mal di pancia”.

WM: “Ok, diciamo che non ci siamo”.

E2015: “No, diciamo che ho mal di pancia”.

WM: “Ma come fai a sapere con cinque giorni di anticipo che hai mal di pancia?”
E2015: “Sono un bimbo speciale, io ho i mal di pancia programmati”.

giusto due dritte in caso di mal di pancia infantile, a cui aggiungerei: “evitare feste di compleanno non gradite”.