Non so se finora si era capito, ma io amo la montagna e adoro camminare. Ogni anno trascino i ragazzi e LPBDM per sentieri e rifugi sia in estate, sia in inverno.
Grazie ad un paio di persone speciali e a questa grande passione che ci accumuna, ho fatto della sezione CAI del paesello la mia seconda casa. Una parola tira l’altra e mi hanno arruolata nel gruppo (ASAG, accompagnatori Alpinismo Giovanile). Così, per me che fino a ieri organizzavo le passeggiate in base al menù del rifugio, si sono aperti nuovi orizzonti. Quasi tutti verticali.
Il primo banco di prova è stata l’arrampicata, dove grazie alla mia poca forza fisica e la ancor minor agilità ho dato quasi subito forfait, applicandomi unicamente come “Sicurezza” per i giovani scalatori – praticamente contrappeso in caso di caduta/scivolone in parete. Cosa in cui modestamente riesco assai benone.
Dopo un paio di uscite di arrampicata e altre classiche escursioni con nozioni su flora, fauna e ambiente montano (non banali, ma essendo didattiche mi muovevo su terreno conosciuto), è arrivata la volta della ferrata. Temuta, perchè l’idea del vuoto sotto di me, seppur ancorata alla roccia e assicurata con mille moschettoni, non mi rassicura affatto, ma anche agognata, poiché “via il dente via il dolore” e sapevo che prima o poi mi sarebbe toccata.
Finalmente, domenica siamo partiti con i ragazzi del Giovanile per una lezione di avvicinamento alla ferrata. Era la mia occasione! Un percorso facile facile, che ho svolto anche con dignità, fino agli ultimi cinquanta metri, dove un bel traverso a sbalzo ci avrebbe guidato ad una scaletta a strapiombo sulla Dora e da lì attraverso una seconda scaletta saremmo arrivati dritti fino all’arrivo.
I miei ragazzi sono stati molto bravi, su mia esplicita richiesta, non hanno fatto commenti sul vuoto, sul fiume, sul “sotto”, né sulla vista (per me mozzafiato nel senso stretto del termine).
Hanno mantenuto il loro aplomb britannico, quando in vetta sono stramazzata senza fiato sulla spianata esclamando con l’ultimo fiato “Cazzo!”. E non hanno nemmeno fatto la spia, dato che le parolacce sono assolutamente vietate.
Ma soprattutto non hanno battuto ciglio, quando all’attacco della seconda scaletta mi son pietrificata, non riuscendo più a muovere un muscolo.
In quel momento da sotto è arrivata una vocina: “Muovi il piede destro”.
Ora, per chi non lo sapesse: “Muovi il piede destro” è il trucco che usiamo noi in arrampicata per togliere i bambini dall’impasse. Quando si bloccano, poiché confusi, basta dire “Muovi il piede destro”, facendolo trovano un appiglio e ripartono in scioltezza.
Con questa frase detta dei ragazzi nel modo giusto e nel momento giusto, mi sono resa conto che in questi mesi abbiamo insegnato loro tante cose, non in ultimo ad esserci per i compagni, a capire il momento di crisi e superarlo e insieme.
Io per l’ennesima volta ho imparato da loro: a fidarmi in montagna del mio secondo e anche un po’ più di me.
Ciò non toglie che prima del rientro mi venisse affibbiato il soprannome di Nonna Papera e che il mio team durante la discesa ogni tanto sghignazzasse ” Né scendere, né salire. Né scendere, né salire“.